E in ottobre, camminando tra canti, scherzi, polenta e rosari.
Con l’arrivo dell’autunno per don Bosco e i suoi ragazzi iniziava la stagione delle «passeggiate». Un’altra geniale invenzione di don Bosco: il trekking sacro, gita-premio e pellegrinaggio.
La Madonna del Castello che domina l’abitato dall’alto di Castelnuovo esercitò una speciale attrattiva per Giovanni Bosco. Si arrampicava spesso fin lassù da solo o con gli amici a venerare l’immagine della Vergine. Fatto sacerdote, non dimenticò mai quella mèta preferita dei suoi pellegrinaggi giovanili.
Ispirandosi ad essi, nei primi anni dell’Oratorio, don Bosco portava i suoi monelli ai santuari torinesi della Consolata o di Santa Maria del Monte, della Madonna di Campagna o del Pilone, di Pozzo Strada o di Superga.
Nel 1850 inaugurò le passeggiate «fuori porta», prima ai Becchi e dintorni, poi per i colli del Monferrato fino a Casale, dell’Alessandrino fino a Tortona, e in Liguria fino a Genova.
Nella patria di Gianduia
Nei primi anni, mèta di quelle gite erano i Becchi e dintorni, raggiunti con il cavallo di san Francesco. I giovani alloggiavano nella casa di Giuseppe, il buon fratello di don Bosco, occupando stanze, stalla e granaio. Celebravano con solennità la festa del Rosario nella cappellina eretta al pian terreno nel 1848, e poi partivano per Castelnuovo. Là li attendeva il Vicario don Cinzano per il pranzo. Un calderone d’acqua, collocato all’aperto su di un focolare improvvisato, accoglieva borbottando le palate di farina gialla. Cuochi d’occasione giravano le capaci mestole e spargevano il sale, finché, al momento giusto, il pentolone veniva capovolto sul tavolato e la polenta fumante, condita di “bagna” e salsiccia, era divisa in grosse fette e divorata dai ragazzi di Valdocco sotto gli occhi sorridenti di don Bosco.
Nel 1850 la festa «della polenta» fu per Giovanni Cagliero, allora dodicenne, l’occasione provvidenziale dell’incontro con don Bosco, che decise la sua entrata all’Oratorio per l’anno seguente.
Gli anni 1859-64 furono gli anni d’oro delle passeggiate autunnali, autentiche gite-premio o vacanze attive che don Bosco organizzava in ottobre per il bene fisico e spirituale dei giovani più impegnati nello studio e nella condotta e a edificazione delle popolazioni rurali, approfittando pure per diffondere le «Letture Cattoliche» e andare in cerca di vocazioni.
I ragazzi vi partecipavano in gruppi sempre più numerosi, entrando nei paesi con la banda musicale in testa, accolti festosamente dalla gente, dai parroci o dai signori del castello. Riposavano nei fienili, consumavano frugali pasti contadini, celebravano devote funzioni in chiesa ed alla sera davano spettacolo sopra un palco improvvisato.
Il repertorio di quello spettacolo popolare comprendeva canti, macchiette in dialetto e commediole, nelle quali, per volere di don Bosco, Gianduia, la nota maschera piemontese, faceva la parte del leone.
Durante una di quelle gite don Bosco permise ad un gruppo di ragazzi di fare una scappata fino a Callianetto, patria di Gianduia. Volevano poter dire, una volta tornati a Valdocco: «Io a Callianetto ci sono stato!». Al ritorno da quella galoppata di parecchie ore, i fortunati esploratori della… terra promessa, portarono ai compagni le più strane notizie del paese dove «si facevano le fascine di sabbia, si pestava il fumo e s’insaccava la nebbia».
Nel 1864 don Bosco portò i ragazzi a Genova. Lo aveva promesso: «Quest’anno vedrete il mare!».
Catechismo itinerante
Le passeggiate autunnali di don Bosco erano ricche di valori educativi, ma ebbero fin dall’inizio anche il carattere di pellegrinaggio.
Ancora più tipicamente religiosa fu la visita fatta nel 1861 al Santuario della Madonna di Crea, celebre in tutto il Monferrato. Come sua abitudine, don Bosco aveva preparato i giovani a quel pellegrinaggio narrando loro la storia del santuario e delle cappelle sparse sul Sacro Monte. Salirono a Crea il 10 ottobre.
«Entrammo – scrive don Francesia – nella spianata da veri conquistatori, suonando la nostra marcia trionfale». Ma l’amico di don Bosco che doveva ospitarli si era invece recato, per un malinteso, a Casale. I buoni Frati Minori custodi del santuario, ignari di tutto, tennero chiuso per prudenza il portone del convento. Don Bosco intanto condusse i ragazzi in chiesa a pregare la Bruna Madonna. Cantarono la lode di sant’Alfonso, «Vivo amante di quella Signora» sull’aria del «Va pensiero». Il canto devoto commosse il Padre Guardiano ed i suoi frati che, dopo la benedizione eucaristica, invitarono i ragazzi, offrendo loro tutto ciò che avevano ancora in serbo: pane, cacio, vino e frutta. I pellegrini in erba provvidenzialmente rifocillati dai generosi figli di san Francesco, poterono così riprendere il loro cammino.
E come non perdevano occasione di visitare i santuari mariani, così celebravano con grande solennità le feste della Madonna tipiche nei nostri paesi il mese di ottobre. Quelle feste erano come i grani di una corona di preghiere recitate dalla cappella del Rosario ai Becchi; erano l’espressione di una devozione mariana, che aveva già portato Giovanni Bosco, giovane studente, sul colle del paese natio a venerare la Madonna del Castello.
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